61° anniversario della Giornata della Rivolta Nazionale Tibetana

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Dichiarazione del Presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana in occasione del 61° anniversario della Giornata della Rivolta Nazionale Tibetana

Il 10 marzo 1959, il popolo tibetano si ribellò contro l’occupazione illegale di un Tibet, uno stato sovrano, da parte della Cina.

Con i pugni in aria, i tibetani inondarono le strade di Lhasa gridando: “Bhodkyi dhakpo bhodmi yin!” “Il Tibet appartiene ai tibetani!”

Sua Santità il 14 ° Dalai Lama del Tibet descrive il 10 marzo 1959 come il “il più importante giorno che la città di Lhasa abbia mai vissuto”. Nel suo libro di memorie “La mia terra, il mio popolo” continua dicendo:
“Mi sentivo come se fossi in piedi tra due vulcani, ognuno dei quali poteva esplodere in qualsiasi momento. Da una parte c’era la veemente, inequivocabile, unanime protesta del mio popolo contro il regime cinese, dall’altra c’era la forza armata di un occupante potente e aggressivo.”

I cinesi risposero alle pacifiche manifestazioni tibetane con la forza bruta. L’allora consigliere generale indiano a Lhasa riferì che l’Esercito di Liberazione del Popolo cinese aveva scatenato tutta la sua “artiglieria, mortai, mitragliatrici e tutti i tipi di armi automatiche” su tibetani indifesi.

Siamo qui, uniti come un solo popolo, nel 61°anniversario di quel giorno, per rendere omaggio alle figlie coraggiose e ai figli del Tibet e per trarre ispirazione dai loro sacrifici nella nostra lotta per ripristinare la libertà e la pace in Tibet. Negli ultimi 60 anni i tibetani all’interno del Tibet sono stati compatti nella loro lotta contro l’occupazione illegale del nostro paese.

Qual è oggi per la gente comune tibetana la vita sotto il dominio cinese?

Il recente “Rapporto Freedom House” del 2020, ha dichiarato, per il quinto anno consecutivo, che il Tibet è la seconda regione meno libera del mondo, dopo la Siria.
“Reporter senza frontiere”, nel suo World Press Freedom Index 2019,
ha denunciato che la Cina esercita in Tibet un controllo sulla stampa sempre più stretto.

Il rapporto “Human Rights Watch” del 2020 ha evidenziato la minaccia nei confronti della lingua tibetana poiché la Cina, da tempo, impone in Tibet politiche educative bilingue motivate proprio da ragioni politiche.

Questa crescente e continua oppressione sotto l’occupazione cinese ci è testimoniata dai tibetani attraverso i loro quotidiani atti di resistenza.

Dal 2009, 154 tibetani si sono auto immolati. L’ultimo, Yonten, di 24 anni originario di Ngaba Meruma, è deceduto dopo essersi auto immolato il 26 novembre 2019.
Nel 2015 Tashi Wangchuk, attivista per la salvaguardia della lingua tibetana, ha dichiarato in
un’intervista rilasciata al New York Times: “Tantissimi tibetani si sono auto immolati e ora posso capirli perché abbiamo veramente pochissimi modi per risolvere i problemi. “
Tashi Wangchuk è stato arrestato all’inizio del 2016 e condannato a cinque anni di carcere (nel 2018) per “incitamento al separatismo”.

Il 27 gennaio di quest’anno, quasi un migliaio di scrittori, linguisti, traduttori e attivisti per la preservazione della lingua hanno firmato la lettera aperta pubblicata dalla PEN America chiedendo il suo rilascio immediato. Allo stesso modo Sonam Palden, un monaco di 22 anni del monastero di Kirti, è detenuto in dal settembre 2019 senza che si abbiano sue notizie. Si presume che Palden abbia criticato la politica della Cina sulla lingua tibetana in un post di WeChat.

Human Rights Watch conferma che la lingua cinese è obbligatoriamente imposta anche a livello di scuola materna. Dal 2019, le autorità cinesi di Golog hanno imposto la lingua cinese obbligatoria nelle scuole primarie e medie, sostituendola alla lingua tibetana come mezzo di insegnamento.

Ai bambini di Nangchen è stato proibito di frequentare corsi di lingua tibetana nei monasteri durante le vacanze scolastiche.
Le autorità hanno dichiarato “illegale”. lo studio della lingua tibetana.
Lo scorso novembre, sette tibetani sono stati arrestati per aver protestato pacificamente a Sershul, nel Tibet orientale.

In seguito alla stessa protesta, 30 monaci e laici sono stati arrestati con il sospetto di possedere “immagini di Sua Santità il Dalai Lama”.
Anche le condizioni attuali del 45enne Wangchuk sono sconosciute dopo la sua detenzione a Shigatse con l’accusa di condividere i libri di Sua Santità attraverso WeChat.

L’Ordine n. 13, emesso dal governo cinese nel novembre 2019, mira a sinizzare il buddismo tibetano e porre restrizioni draconiane alle istituzioni religiose.
Lo scorso anno il governo cinese, nel proseguire la sua continua opera di demolizione dell’Istituto buddista di Yachen Gar, ha espulso con la forza da quella comunità 7100 monaci, monache e praticanti buddisti.

Molti degli sfollati sono stati poi forzatamente inviati in quelli che vengono definiti “Campi di rieducazione patriottica”.
Il Partito Comunista Cinese vieta inoltre anche ai quadri in pensione del Partito Tibetano di prendere parte a qualsiasi attività religiosa buddista.

La terza sessione del cosiddetto 11° Congresso Popolare della Regione Autonoma Tibetana, tenutasi nel gennaio di quest’anno, ha decretato l’obbligatorietà dell’ “unità etnica”. Questa legge, che entrerà in vigore dal 1° maggio 2020, legalizzerà formalmente i matrimoni misti, i sussidi per i migranti cinesi e porrà in atto altre misure nel tentativo di sinizzare l’identità tibetana.

La sinizzazione è il problema, non la soluzione.

Le recenti notizie di un accordo segreto siglato lo scorso anno tra Nepal e Cina durante la visita del presidente cinese Xi e un trattato economico firmato tra Cina e Myanmar, stato che riconosce il Tibet insieme a Xinjiang e Taiwan come “parti inalienabili della Cina”, sono esempi di quanto la Cina abusi del suo peso economico per promuovere e concretizzare la sua agenda politica. Ecco perché è cruciale che la comunità internazionale riconosca la nostra lotta.

Ringraziamo i nostri sostenitori per aver continuato a stare accanto al popolo tibetano e ringraziamo le organizzazioni internazionali per aver sostenuto la verità della nostra lotta fornendo ogni anno rapporti allarmanti ma concreti sul Tibet.
Con un evento epocale, il 28 gennaio di quest’anno la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato a schiacciate maggioranza la “Politica di sostegno e supporto al Tibet” (HR 4331.
A nome di tutti i tibetani, vorrei ringraziare Nancy Pelosi, il presidente della Camera dei Rappresentanti, il co-sponsor rappresentante James Patrick McGovern (D), il rappresentante Christopher Henry Smith (R) e tutti i membri bipartisan del Congresso che hanno aiutato e ha sostenuto il passaggio di questa legge.

Speriamo che anche il Senato approvi la stessa legge e ringraziamo il co-sponsor senatore Marco Rubio (R) e il senatore Ben Cardin (D) per la loro leadership.
Nell’ottobre 2019, durante la sua visita ufficiale a Dharamsala, l’ambasciatore Brownback, ha ribadito il sostegno degli Stati Uniti a Sua Santità e al popolo tibetano.

L’ambasciatore Brownback è stato uno dei massimi funzionari del governo degli Stati Uniti a visitare la CTA e Dharamsala. Ha invitato la Cina a liberare immediatamente l’undicesimo Panchen Lama, rapito con la forza e scomparso da 25 anni. L’ambasciatore ha inoltre approvato la Risoluzione sulla Reincarnazione adottata dall’ottava conferenza internazionale dei gruppi di sostegno del Tibet e dalla terza Riunione Generale Speciale tenutasi lo scorso anno.

Inoltre, la 14 ° Conferenza Religiosa Tibetana ha affermato che Sua Santità il Dalai Lama è la sola autorità a decidere sulla questione della sua reincarnazione. Anche i governi olandese e belga hanno dichiarato chiaramente le loro posizioni su questo tema. Il governo belga ha affermato che sarà la comunità religiosa tibetana a decidere sulla reincarnazione del Dalai Lama senza interferenze da parte delle autorità temporali.

Durante la preghiera di lunga vita offerta a Sua Santità dai tibetani di tutto il mondo e organizzata nel maggio 2019 dall’Amministrazione centrale tibetana (CTA), Sua Santità ha ribadito che vivrà per oltre 110 anni.
Non esistono parole sufficienti per esprimere la nostra incommensurabile gratitudine verso Sua Santità. Vorremmo quindi fare del 2020 l’anno del “Grazie, Dalai Lama” per celebrare l’eredità di Sua Santità e i suoi quattro impegni.

Diamo il benvenuto alle attività che i tibetani e gli amici in tutto il mondo vorranno organizzare, a seconda delle loro capacità e possibilità, per creare consapevolezza sulla vita e l’opera di Sua Santità.
Accogliamo con favore la recente decisione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, di visitare lo Xinjiang quest’anno. Tuttavia, la sollecitiamo fortemente a visitare anche il Tibet e fare pressioni sulla Cina per un libero accesso in Tibet al fine di monitorare il deterioramento delle condizioni dei diritti umani.

Sotto la guida illuminata di Sua Santità e dell’Amministrazione Centrale Tibetana, i tibetani nell’Asia meridionale sono riconosciuti come una delle comunità di rifugiati più efficienti al mondo.
Nel caso il governo cinese nutrisse qualche speranza nella graduale perdita di slancio della questione tibetana, vorremmo dirgli chiaramente che noi continueremo.

L’indomabile coraggio dei tibetani all’interno del Tibet continuerà a ispirare e a rafforzare l’impegni di quanti di noi sono in esilio.

La pace in Tibet può essere ripristinata solo attraverso l’approccio della Via di Mezzo. Pertanto, il governo cinese deve riprendere il dialogo con gli inviati di Sua Santità il Dalai Lama. Rappresentando il vero spirito di unità delle tre province del Tibet, i tibetani in esilio si adoperano collettivamente per realizzare le aspirazioni dei tibetani all’interno del Tibet. Quanti di noi vivono in libertà hanno la responsabilità di salvaguardare l’interesse del nostro popolo e
di portare avanti la causa tibetana.
L’attuale epidemia di COVID-19 è un’emergenza globale per la salute pubblica e incoraggia tutti a prendere misure precauzionali. Offriamo le nostre preghiere in solidarietà a tutti quei paesi e individui colpiti da questa epidemia. All’interno del Tibet, si sospetta che ci siano più di 100 casi di coronavirus. Tuttavia, a causa della mancanza di libertà di parola e trasparenza in Cina, non siamo in grado di ottenere una conferma effettiva. Esprimiamo la nostra più profonda simpatia per i tibetani colpiti da questo focolaio e preghiamo che il coronavirus venga contenuto.

Il Kashag vorrebbe cogliere l’occasione per offrire il nostro profondo apprezzamento alla grande nazione e al popolo dell’India, ai governi, ai parlamenti, ai gruppi di sostegno del Tibet in tutto il mondo, agli individui e alle organizzazioni che sostengono la giusta causa del Tibet e sono solidali con il popolo tibetano in questo momento critico.

Infine offro le mie più sincere preghiere per una vita sana e lunga del nostro leader più riverito, Sua Santità il Grande 14° Dalai Lama.
Nel marzo del 1959 fu costretto a fuggire in circostanze estremamente difficili. Prego che Sua Santità possa tornare presto nella sua casa; la casa dove i tibetani dentro e fuori il Tibet saranno riuniti e la libertà di base ripristinata nel loro paese. Bhod Gyalo!

Il Presidente 10 marzo 2020

Nota: questa è una traduzione della dichiarazione in lingua tibetana. In caso di discrepanze, la versione originale tibetana deve essere considerata quella di riferimento.